Aids: tutti a rischio, pochi i test
In Italia la malattia non fa paura
Oggi la giornata mondiale: 33,2 milioni di persone ne sono colpite ma si tende ad abbassare la guardia e sottovalutare il rischio
ROMA - Si abbassa la guardia, la malattia non fa più notizia: in Italia solo il 5 per cento delle persone teme di potersi essere infettata. Eppure l'Aids non è certo scomparso. Oltre 33 milioni di persone al mondo ne sono colpite e di queste 2,1 milioni sono bambini o ragazzi sotto i 15 anni d'età. Ogni giorno si aggiungono 7.500 nuove infezioni. Se il mondo occidentale si è in qualche modo abituato a convivere con la malattia - e la maggior parte della gente lo ritiene un problema degli altri, nei paesi in via di sviluppo - in Italia si verificano comunque 4.000 nuove infezioni l'anno. Dall'inizio dell'epidemia allo scorso anno, dicono i dati dell'Istituto Superiore di Sanità aggiornati al 31 dicembre 2007, di Aids nel nostro paese si sono ammalate 59.500 persone e 35.300 sono morte.
Oggi, in occasione della giornata mondiale dedicata alla lotta contro l'Aids, arrivata quest'anno alla ventesima edizione, una serie di iniziative, appuntamenti e convegni in tutto il mondo fanno il punto sulla malattia. E in nessuna piazza ci si stanca di ripetere che prevenzione e diagnosi precoce sono tutto, insieme ad una corretta informazione che serva ad educare e ad evitare pregiudizi o discriminazioni verso chi è malato. Ricordando che la pandemia è tutt'altro che cessata, soprattutto in Africa e nei paesi dell'Est ma anche in India e Cina, dove il virus sta dilagando.
In Italia vivono 24mila persone con Aids conclamato, mentre con i sieropositivi si arriva a quota 120-140mila; la metà di questi non sa di essere malata perché il rischio di infettarsi è sottovalutato. La Lombardia è la regione più colpita, ma nell'ultimo anno il tasso di incidenza maggiore è stato in Lazio. I progressi della medicina hanno fatto segnare passi in avanti notevoli: nel nostro paese i decessi sono passati da 4.851 del 1995 ai circa 200 del 2007. Eppure pensare che il problema sia ormai archiviato è una chimera.
Negli anni la malattia ha cambiato volto: attualmente si trasmette quasi esclusivamente per via sessuale e, mentre scende il numero dei tossicodipendenti sieropositivi, aumentano i contagi da mamma a bambino. Come dimostrano i risultati del sondaggio Swg condotto per l'associazione Nps, Network persone sieropositive, l'Aids oggi in Italia non fa più paura: nel 1991 le persone che mettevano la malattia in cima alle loro preoccupazioni erano il 20 per cento. Oggi, diciassette anni dopo, sono il 4,8 per cento. I dati relativi ai test per l'Hiv sono speculari: meno del 30 per cento degli italiani si sono sottoposti ad esami diagnostici contro oltre il 60% di paesi europei come la Francia. Le cifre le dà Adriano Lazzarin, della divisione malattie infettive dell'ospedale San Raffaele di Milano, in occasione della giornata mondiale. E le conseguenze non sono difficili da trarre: si arriva alla diagnosi tardi nel 50 per cento dei casi, quando la malattia è già in stadio conclamato, con minori chance di successo terapeutico.
Come affrontare il problema? Secondo Lazzarini, non basta rendere disponibile il test in modo gratuito, ma bisogna facilitarne la diffusione. E far sapere alla gente che c'è anche un esame più facile, che si chiama appunto, easy test, il test della saliva, che, anche se non preciso come quello del sangue, è molto meno invasivo e può far avvicinare le persone all'idea di effettuare un controllo. L'immunologo Fernando Aiuti, invece, è più favorevole ad una strategia che individui fasce di popolazione e gruppi di persone mirate, per non sprecare risorse ed energie.
Continuano intanto le sperimentazioni cliniche sul vaccino terapeutico italiano basato sulla proteina di replicazione virale Tat: entro gennaio tutti i dieci centri italiani coinvolti nel trial, spiega Barbara Ensoli dell'Istituto Superiore di Sanità, saranno attivi e arruoleranno i 128 volontari previsti per la fase due della sperimentazione. Se i risultati saranno positivi, si passerà alla fase finale dei trial per verificare l'efficacia del vaccino.
L'allarme per la scarsa diffusione dei test per diagnosticare la malattia riguarda soprattutto i più piccoli e in particolar modo nei paesi africani. Il terzo rapporto "Bambini e Aids", realizzato da quattro agenzie delle Nazioni Unite, presentato ufficialmente oggi, sottolinea che nel 2007 meno del 10% dei neonati nati da donne sieropositive è stato sottoposto al test Hiv prima dei due mesi di vita. Solo il 18% delle donne in gravidanza, nei paesi a basso e medio reddito, ha effettuato il test. E solo il 12% di quelle risultate positive ha effettuato ulteriori accertamenti per verificare a che stadio fosse l'infezione e che tipo di cure erano necessarie.
Ancora una volta l'Onu punta l'accento su quanto sia fondamentale la diffusione di uno screening precoce: "Senza cure appropriate, la metà dei minori affetti da Hiv morirà prima di aver compiuto i due anni di età ", ammette il direttore generale dell'Unicef Ann Veneman. Viceversa, "i neonati sieropositivi a cui viene diagnosticato tempestivamente il virus e che iniziano le cure entro la dodicesima settimana di vita hanno il 75% in più di possibilità di sopravvivenza". Cifre che parlano da sole.
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